Risale a pochi giorni fa la notizia di una
protesta studentesca che vede coinvolti numerosi studenti parigini
nell’occupazione di più di trenta licei della capitale francese.
Migliaia di studenti hanno organizzato un corteo di protesta verso il
Rettorato e il ministero dell’Interno.
Causa scatenante, l’espulsione di
Leonarda, giovane Rom Kosovara, prelevata a forza dalla polizia
davanti ai propri compagni di classe durante una gita, per poi essere
immediatamente rimpatriata in Kosovo, insieme ai genitori e ad altri
cinque fratelli.
Il ministro dell’Interno Manuel Valls
ha commentato l’accaduto difendendo il proprio operato, e
argomentando in favore delle leggi vigenti in Francia in materia di
immigrazione.
Di primo impatto, questa notizia
suggerisce un imbarazzante parallelismo con quanto accaduto, e ancora
accade, sulle coste di Lampedusa, e con la reazione che tali
avvenimenti hanno suscitato nella coscienza pubblica italiana.
Se l’indignazione e la vergogna –
sentimenti divenuti ormai auto-assolutori, particolarmente nel
panorama politico – sono reazioni comuni e condivise nei confronti
di procedure a dir poco draconiane, l’Italia non ha purtroppo visto
una mobilitazione tanto repentina da parte di quella società civile
(gli studenti, in questo caso) legata alle vittime di tali misure
primariamente da un sentimento di empatia.
Si potrebbe cinicamente suggerire che
la mobilitazione della società civile italiana su questi temi -
caratterizzata da rivendicazioni assai deboli e povere di proposte
che guardino oltre l’abolizione (sacrosanta) del reato
d’immigrazione clandestina - sia lo specchio di una comunità in
frantumi.
Eppure, anche un governo “socialista”
di una repubblica “illuminata” ha commesso in questo caso lo
stesso errore: un pressapochismo politico e culturale, putroppo
comune alle democrazie europee che si vedono impegnate in quella
mission impossible che è il controllo dei flussi migratori.
Il ministro Valls si è più volte
mostrato preoccupato dalla questione Rom, arrivando a sostenere che i
circa 20.000 presenti sul suolo francese andrebbero espulsi poichè
particolarmente restii a qualsiasi tipo di integrazione.
Sembra inoltre che il motivo di questa
recente espulsione sia in parte legato al carattere violento del
capofamiglia, già segnalato alle autorità francesi dalla famiglia
stessa di Leonarda.
A partire da questo, è necessaria
un’ulteriore, più importante riflessione.
Il Kosovo è impegnato da qualche anno
in una difficile e ben poco efficace lotta nei confronti della
violenza domestica.
Da un punto di vista sia culturale che
legislativo, la violenza domestica stenta ancora a venire considerata
reato, e il numero di denunce (circa un migliaio all’anno) è ben
poco rappresentativo dell’effettiva entità del problema.
Nelle zone rurali, e nelle sacche di
marginalità alle quali specialmente le famiglie Rom sono costrette,
tali episodi vengono raramente segnalati alle autorità, e
difficilmente ricevono una risposta efficace sul lungo periodo.
I centri di assistenza per donne
vittime di abuso sono soltanto sette, con un’operatività purtroppo
limitata. Non riescono ad avere una copertura capillare sul
territorio, e spesso faticano a raggiungere le componenti più
emarginate della popolazione – ovvero famiglie Rom e di altre
minoranze etniche rurali e suburbane.
Quand’anche le vittime riuscissero ad
avere accesso alla protezione e assistenza offerte da questi centri,
il rischio del loro ritorno all’ambiente violento dal quale sono
fuggite rimane altissimo. Non esiste infatti un serio programma di
inserimento nel mondo del lavoro – in un paese in cui la
disoccupazione femminile risulta al 40%, e quella giovanile supera il
55% - e la mancanza di indipendenza economica riporta inevitabilmente le
vittime al contesto sociale dal quale hanno cercato di distanziarsi.
Inoltre, come illustrato da uno studio
dell’UNICEF,
dei bambini di etnia Rom e Ashkali rimpatriati in Kosovo nel 2010,
solo uno su quattro frequentava la scuola dell’obbligo. Numerosi
procedimenti legali sono stati avviati nei confronti del Ministero
dell’Educazione, in seguito alla discriminazione ed esclusione di
bambini e studenti Rom dalla scuola primaria e secondaria.
Infine, non esistono in Kosovo
strutture o programmi volti a offrire un supporto sociale e
psicologico nei confronti dei rifugiati rimpatriati in Kosovo. In
particolare, si riscontrano numerosi episodi di disturbo fisico e
mentale tra quei bambini che si ritrovano a un tratto rispediti
nella propria terra d’origine, con la quale tuttavia non hanno
avuto, fino a quel momento, alcun contatto.
L’espulsione di Leonarda lascia
quindi spazio a una duplice considerazione.
Confidando nella sostanziale buona fede
del ministro Valls, che sta “solo applicando la legge vigente” (a
questo punto, chiunque avesse letto Hannah Arendt verrebbe scosso da
un brivido lungo la schiena), si può immaginare che il ministro,
semplicemente, non sia a conoscenza della situazione dei Rom in
territorio kosovaro.
Questo, allora, mostra la feroce
efficacia della linea Frontex nel rendere l’Europa politicamente e
culturalmente impermeabile a ciò che avviene negli stati
immediatamente al di là di un muro istituzionale e burocratico.
Un’Europa claustrofobica e sorda,
eppure strenuamente impegnata nella standardizzazione democratica dei
paesi limitrofi, primariamente di area balcanica.
E’ nostra responsabilità
fronteggiare e reagire alle problematiche che emergono soltanto al di
qua di un immaginario, arbitrario e mobile confine.
Se così fosse, allora il processo di
espansione dell’Unione verso Est - già avviato con l’ingresso
della Croazia - può considerarsi fallito in partenza.
Se invece ci si
attiene alle precedenti dichiarazioni del ministro Valls - da tempo
promotore dello sgombero forzato dei campi e dell’espulsione dei
Rom francesi “oltre i confini” poichè “non esiste altra
soluzione” – si può allora considerare il rischio di una mentalità politica
che ancora fa riferimento al concetto di Stato-Nazione.
I Rom vanno rispediti verso il loro
territorio di provenienza (lo Stato) e di conseguenza verso
una società e una cultura (la Nazione) che necessariamente li
rappresentano, poichè inestricabilmente legate al territorio da cui
sono scaturite. L’appartenenza alla comunità civile, e
l’appartenenza allo stato istutuzionale devono, necessariamente,
coincidere. E questa impalcatura, questo costrutto sociale va imposto
e rispettato da chiunque voglia muoversi all’interno di esso.
E’ un caso che siano proprio i Rom,
una comunità le cui radici scardinano questa identità tra Stato e
Nazione, ad essere le principali vittime di tale ossessione?
Gli stati europei ricercano ancora
quella chimera che credevamo ormai superata, l’omogeneità tra il
cittadino e il membro della comunità nazionale.
Finchè gli esponenti politici europei
saranno impegnati in questa lotta contro i mulini a vento, i diritti
civili dell’individuo verranno, inesorabilmente, confinati a spazi
sempre più ristretti.