sabato 26 ottobre 2013

GLI ETERNI INDESIDERATI - Leonarda, la ragazzina Rom Kosovara prelevata a forza durante una gita scolastica - DI ANNA CALORI





Risale a pochi giorni fa la notizia di una protesta studentesca che vede coinvolti numerosi studenti parigini nell’occupazione di più di trenta licei della capitale francese. Migliaia di studenti hanno organizzato un corteo di protesta verso il Rettorato e il ministero dell’Interno.
Causa scatenante, l’espulsione di Leonarda, giovane Rom Kosovara, prelevata a forza dalla polizia davanti ai propri compagni di classe durante una gita, per poi essere immediatamente rimpatriata in Kosovo, insieme ai genitori e ad altri cinque fratelli.
Il ministro dell’Interno Manuel Valls ha commentato l’accaduto difendendo il proprio operato, e argomentando in favore delle leggi vigenti in Francia in materia di immigrazione.

Di primo impatto, questa notizia suggerisce un imbarazzante parallelismo con quanto accaduto, e ancora accade, sulle coste di Lampedusa, e con la reazione che tali avvenimenti hanno suscitato nella coscienza pubblica italiana.
Se l’indignazione e la vergogna – sentimenti divenuti ormai auto-assolutori, particolarmente nel panorama politico – sono reazioni comuni e condivise nei confronti di procedure a dir poco draconiane, l’Italia non ha purtroppo visto una mobilitazione tanto repentina da parte di quella società civile (gli studenti, in questo caso) legata alle vittime di tali misure primariamente da un sentimento di empatia.
Si potrebbe cinicamente suggerire che la mobilitazione della società civile italiana su questi temi - caratterizzata da rivendicazioni assai deboli e povere di proposte che guardino oltre l’abolizione (sacrosanta) del reato d’immigrazione clandestina - sia lo specchio di una comunità in frantumi.

Eppure, anche un governo “socialista” di una repubblica “illuminata” ha commesso in questo caso lo stesso errore: un pressapochismo politico e culturale, putroppo comune alle democrazie europee che si vedono impegnate in quella mission impossible che è il controllo dei flussi migratori.
Il ministro Valls si è più volte mostrato preoccupato dalla questione Rom, arrivando a sostenere che i circa 20.000 presenti sul suolo francese andrebbero espulsi poichè particolarmente restii a qualsiasi tipo di integrazione.
Sembra inoltre che il motivo di questa recente espulsione sia in parte legato al carattere violento del capofamiglia, già segnalato alle autorità francesi dalla famiglia stessa di Leonarda.

A partire da questo, è necessaria un’ulteriore, più importante riflessione.

Il Kosovo è impegnato da qualche anno in una difficile e ben poco efficace lotta nei confronti della violenza domestica.
Da un punto di vista sia culturale che legislativo, la violenza domestica stenta ancora a venire considerata reato, e il numero di denunce (circa un migliaio all’anno) è ben poco rappresentativo dell’effettiva entità del problema.
Nelle zone rurali, e nelle sacche di marginalità alle quali specialmente le famiglie Rom sono costrette, tali episodi vengono raramente segnalati alle autorità, e difficilmente ricevono una risposta efficace sul lungo periodo.
I centri di assistenza per donne vittime di abuso sono soltanto sette, con un’operatività purtroppo limitata. Non riescono ad avere una copertura capillare sul territorio, e spesso faticano a raggiungere le componenti più emarginate della popolazione – ovvero famiglie Rom e di altre minoranze etniche rurali e suburbane.
Quand’anche le vittime riuscissero ad avere accesso alla protezione e assistenza offerte da questi centri, il rischio del loro ritorno all’ambiente violento dal quale sono fuggite rimane altissimo. Non esiste infatti un serio programma di inserimento nel mondo del lavoro – in un paese in cui la disoccupazione femminile risulta al 40%, e quella giovanile supera il 55% - e la mancanza di indipendenza economica riporta inevitabilmente le vittime al contesto sociale dal quale hanno cercato di distanziarsi.

Inoltre, come illustrato da uno studio dell’UNICEF, dei bambini di etnia Rom e Ashkali rimpatriati in Kosovo nel 2010, solo uno su quattro frequentava la scuola dell’obbligo. Numerosi procedimenti legali sono stati avviati nei confronti del Ministero dell’Educazione, in seguito alla discriminazione ed esclusione di bambini e studenti Rom dalla scuola primaria e secondaria.
Infine, non esistono in Kosovo strutture o programmi volti a offrire un supporto sociale e psicologico nei confronti dei rifugiati rimpatriati in Kosovo. In particolare, si riscontrano numerosi episodi di disturbo fisico e mentale tra quei bambini che si ritrovano a un tratto rispediti nella propria terra d’origine, con la quale tuttavia non hanno avuto, fino a quel momento, alcun contatto.

L’espulsione di Leonarda lascia quindi spazio a una duplice considerazione.

Confidando nella sostanziale buona fede del ministro Valls, che sta “solo applicando la legge vigente” (a questo punto, chiunque avesse letto Hannah Arendt verrebbe scosso da un brivido lungo la schiena), si può immaginare che il ministro, semplicemente, non sia a conoscenza della situazione dei Rom in territorio kosovaro.

Questo, allora, mostra la feroce efficacia della linea Frontex nel rendere l’Europa politicamente e culturalmente impermeabile a ciò che avviene negli stati immediatamente al di là di un muro istituzionale e burocratico.
Un’Europa claustrofobica e sorda, eppure strenuamente impegnata nella standardizzazione democratica dei paesi limitrofi, primariamente di area balcanica.
E’ nostra responsabilità fronteggiare e reagire alle problematiche che emergono soltanto al di qua di un immaginario, arbitrario e mobile confine.
Se così fosse, allora il processo di espansione dell’Unione verso Est - già avviato con l’ingresso della Croazia - può considerarsi fallito in partenza.

Se invece ci si attiene alle precedenti dichiarazioni del ministro Valls - da tempo promotore dello sgombero forzato dei campi e dell’espulsione dei Rom francesi “oltre i confini” poichè “non esiste altra soluzione” – si può allora considerare il rischio di una mentalità politica che ancora fa riferimento al concetto di Stato-Nazione.
I Rom vanno rispediti verso il loro territorio di provenienza (lo Stato) e di conseguenza verso una società e una cultura (la Nazione) che necessariamente li rappresentano, poichè inestricabilmente legate al territorio da cui sono scaturite. L’appartenenza alla comunità civile, e l’appartenenza allo stato istutuzionale devono, necessariamente, coincidere. E questa impalcatura, questo costrutto sociale va imposto e rispettato da chiunque voglia muoversi all’interno di esso.
E’ un caso che siano proprio i Rom, una comunità le cui radici scardinano questa identità tra Stato e Nazione, ad essere le principali vittime di tale ossessione?

Gli stati europei ricercano ancora quella chimera che credevamo ormai superata, l’omogeneità tra il cittadino e il membro della comunità nazionale.
Finchè gli esponenti politici europei saranno impegnati in questa lotta contro i mulini a vento, i diritti civili dell’individuo verranno, inesorabilmente, confinati a spazi sempre più ristretti.



mercoledì 10 aprile 2013

MUSEO DEL VIAGGIO ''Fabrizio De Andrè'' , il campo Rom luogo di Cultura



L’8 aprile di ogni anno ricorre la Giornata Internazionale dei popoli Rom e Sinti.


In questa data, nel 1971, a Londra ebbe luogo il primo congresso internazionale organizzato dalle rappresentanze Rom, Sinte, Romanichals, Manouche e Gitane.
In quell’occasione nacque la Romani Union e furono scelti la bandiera e l’inno di questo grande popolo.

Questa giornata, l’8 aprile, mi è sembrata perfetta per fare visita ad un luogo particolare, il Museo del Viaggio dedicato a Fabrizio De Andrè, all’interno del campo comunale di via Impastato, a Milano.
Ho avuto il piacere di intervistare il sig. Bezzecchi, Presidente della Cooperativa Romano Drom e Vice Presidente nazionale della Federazione Rom e Sinti Insieme.


Prima di tutto, le presentazioni. Chi è Giorgio Bezzecchi?

Rom figlio di deportati nei campi di concentramento, nipote di un internato a Birkenau, la sua famiglia ha subito le peggiori persecuzioni.
I genitori, internati in campi italiani, sono riusciti a fuggire sotto la spinta degli alleati, e dopo la Guerra si sono fermati nel primo campo comunale d’Italia (nato nel 1968 a Milano, in via Negrotto). 
L’amministrazione del tempo aveva  pensato di 'sostenere' le famiglie numerose inserendo i bambini più piccoli nei collegi correzionali, Giorgio Bezzecchi nel ‘69 ha frequentato uno di questi collegi, all’interno dei quali si veniva sistematicamente bacchettati,  era vietato parlare il Romanes e i maltrattamenti erano all’ordine del giorno. 
L’anno dopo è approdato nelle ‘classi speciali Lacio Drom’, l’Apartheid a scuola, in cui si apprendeva a ‘vivere in modo civile’.
A seguito di queste esperienze scolastiche, Bezzecchi riesce comunque a divenire il primo Rom frequentante una scuola media e, successivamente, quella superiore (sui giornali scrivevano ‘’Anche lo zingaro diventa ragioniere’’).
Il sostegno della famiglia e della comunità lo hanno aiutato nel percorso scolastico e già a 9 anni faceva parte del gruppo degli anziani, degli adulti, <<entravo nella kriss (il ‘tribunale’ della comunità) e ne ero segretario poichè sapevo leggere gli atti di cui gli anziani discutevano. Sono stato uno dei primi ad apprendere il metodo di comunicazione dei gagi (i non Rom) : la scrittura e la lettura (al contrario della tradizionale cultura orale).>>

Dopo il diploma è iniziato il lavoro con l’amministrazione, a seguito di  una borsa di studio, Bezzecchi è stato consulente di giunta municipale, fino alla giunta Moratti nel 2007.
Con questa nuova giunta entrava in vigore la cosiddetta ‘emergenza nomadi’ e partiva l’infamia della schedatura (vi ricordate?) in applicazione al decreto Berlusconi.
Il  piccolo campo di via Impastato, composto da una quarantina di persone, tra cui 10-15 bambini, viene circondato all’alba da 70 agenti di polizia di Stato in tenuta antisommossa con furgoni della scientifica per i rilievi fotografici...all’interno del campo sono tutti cittadini italiani regolarmente residenti, per cui bastava controllare all’anagrafe...esiste tutt’ora un archivio parallelo per i Rom e i Sinti di Milano, custodito in prefettura, si tratta quindi di un censimento etnico su base razziale.
Gli abitanti del campo hanno chiesto la distruzione di questo archivio e aspettano a tutt’oggi una risposta dal tribunale. I Rom sono continuamente vittime di queste inaccettabili discriminazioni.

Giorgio Bezzecchi, dal canto suo, è anche Presidente della Cooperativa Romano Drom, cooperativa di servizi, che cura la manutenzione dei campi, la formazione di mediatori culturali e sociali, e l’inserimento di queste figure professionali nei campi e nelle scuole, lavoro mirato soprattutto a superare gli ostacoli di razzismo e discriminazioni.
Nasce così anche il progetto del Museo del Viaggio.




Che cos’è il Museo del Viaggio?

Il Museo nasce da un’esigenza della comunità che abita questo luogo, per dare un segnale all’esterno, per dire che un campo Rom può essere luogo di Cultura, non soltanto devianza, criminalità, ma diversità culturale da scoprire.
Nasce con il sostegno della fondazione Cariplo, dell’Opera Nomadi e della cooperativa Arca di Noè.
E’ strutturato per un percorso didattico all’esterno e all’interno, una parte del campo Rom è adibita alle sole attività del Museo, con vari spazi:
all’interno il centro di documentazione in muratura che conserva documenti e materiale sulla storia e cultura del popolo Rom;
al suo esterno uno spiazzo per le attività estive all’aperto, come concerti di musicisti Rom, eccetera;
infine la carovanina (in via di ristrutturazione) degli anni ‘50 del secolo scorso, che da l’idea del viaggio, con ancora gli agganci per i cavalli e le gomme da strada montate più recentemente, un oggetto raro e di valore storico.

Negli spazi interni del museo si svolgono corsi di cultura Rom e lingua Romanes, di musica (con il maestro fisarmonicista Jovic Jovica), e naturalmente i percorsi formativi per le scuole (attualmente stanno facendo visita al Museo 5 scuole dell’interland milanese) e corsi per l’Università Bicocca di Milano, tutte attività molto ben accolte e frequentate dalle persone della città.

Come per tutti i luoghi culturali, anche la vita di questo particolare museo non è però facile.
In primo luogo per l’aspetto economico (i corsisti infatti frequentano ad offerta libera, mentre le scuole per principio hanno accesso gratuito alle offerte formative del campo), la fondazione Cariplo ha sostenuto questo programma ma ora occorrono nuovi fondi, con la nuova giunta comunale di centro sinistra è stata fatta una richiesta per dei tavoli di lavoro, magari per far rientrare il museo nella parte culturale del Piano Nomadi, i cui fondi dovrebbero essere sbloccati a breve.
Il museo, nato quattro anni fa sotto l’amministrazione di centro destra della Moratti, ora ha maggiore dialogo con la nuova giunta Pisapia, che pare essere più disponibile per una continuità di queste attività culturali.
Il Museo del Viaggio è infatti un archivio importante, al suo interno ha tutta la documentazione dell’Opera Nomadi, un archivio consultabile di libri unici (molti non hanno avuto una seconda edizione di stampa), materiali video, documentari, cd musicali, eccetera.
Nella città di Milano il progetto è stato accolto bene, la richiesta è alta e le attività sono state molto frequentate.




Questo luogo è stato intitolato alla memoria di  Fabrizio de Andrè (che tanto ha parlato del popolo Rom) , amico di Bezzecchi, che ha tradotto per lui il testo della canzone ‘Khorakhanè’ in lingua Romanes.

In altre città, conseguentemente all’apertura di questo museo, stanno iniziando a nascerne altri, ad esempio ad Isernia: si tratta di musei all’interno di enti pubblici che hanno concesso un piccolo spazio per la documentazione storica di Rom e Sinti.

Infine, nel mio piccolo mi auguro che l’interesse per questo museo rimanga alto e che altre città ed altre comunità Rom siano interessate ad intraprendere lo stesso percorso di apertura e scambio.
Il mio invito è di andare a far visita a questo Museo del Viaggio, comprendendo che la diversità culturale è una ricchezza da scoprire e da cui imparare, mai un ostacolo.

Potete saperne di più sulle attività del museo, visitando il blog:


e le pagine facebook:
‘Museo del Viaggio’ e ‘Museo del Viaggio Fabrizio De Andrè’








Čvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kašta
vašu ti baro nebo
avi ker.

kon ovla so mutavla
kon ovla
ovla kon aščovi
me ğava palan ladi
me ğava
palan bura ot croiuti

(Poserò la testa sulla tua spalla e farò un sogno di mare - e domani un fuoco di legna - perché l'aria azzurra diventi casa - chi sarà a raccontare? Chi sarà?
Sarà chi rimane
io seguirò questo migrare, seguirò questa corrente di ali)

-da 'KhoraKhanè' di Fabrizio De Andrè-





sabato 12 gennaio 2013

La Lupa di Lucignano - Intervista a MARIELLA MEHR


Ieri, 11 gennaio 2013, ho passato la giornata con Mariella Mehr, scrittrice e poetessa Jenisch, Svizzera.
Scriverò di seguito ciò di cui abbiamo parlato, della sua vita, il suo scrivere, la sua storia.
La Consapevolezza che ho acquisito dopo questo preziosissimo incontro, mi ha portata a farmi tante domande, domande difficili che mi hanno messa di fronte ad una in particolare:

‘’Cosa ha veramente senso in questa vita?’’ .

Ha senso conservare la Storia e la Memoria, ha senso Comprendere che si può essere italiani, svizzeri, spagnoli, rom, ebrei, ...ed essere una cosa sola: Umani.
Con una storia comune, La Storia.
Ha senso impegnarmi per fare in modo che Mariella Mehr e tutte le marielle mehr che hanno vissuto la Storia non vengano scordate ma assimilate per andare a completare la Nostra Identità. La mia e la tua. E starci male, ma sentirsi cresciuti, diversi, io così mi sento, ha senso assimilare tutto, Sapere e conservare, per essere Persone con una Identità forte, forti di quello che siamo.
Sapendo chi e cosa ci ha portati ad essere noi, oggi. Senza passare su questo mondo come dei vestiti vuoti.

La Storia ci insegna che ci sono dei grandi fardelli da portare, Mariella Mehr mi ha fatto partecipe del suo e io non voglio fare altro se non spartire questo peso, un immenso dono, dono e fardello, fattomi da questa donna incredibile.

Le mie ricerche su di lei sono iniziate qualche mese fa, quando quasi casualmente ho assistito ad uno spettacolo teatrale che parlava proprio della sua vita.
Da allora ho letto le sue poesie, ho deciso di fare la mia tesi su di lei e sono andata a conoscerla.
Mariella Mehr nei suoi libri denuncia ciò che è stato in Svizzera tra il 1926 e il 1974: fu vittima dell’ ‘’Opera di soccorso dei bambini di strada’’, della Pro Juventute, passando 24 anni della sua vita, dai 5 anni (quando fu strappata alla madre) in poi, in istituti psichiatrici, collegi, subendo elettroshock, esperimenti medici e psichiatrici, violenze e abusi, un figlio preso e fatto adottare da estranei e la sterilizzazione.
La Svizzera, neutrale alla guerra ma non all’eugenetica, ha cercato di estirpare le ‘razze inferiori’ e purificare il sangue della nazione, esattamente come altri paesi a tutti noti.
Mariella Mehr è sopravvissuta a tutto questo, è stata attivista politica e, da sempre, scrittrice.


''Spesso canta il lupo nel mio sangue
e allora l’anima mia si apre
in una lingua straniera.''


La figura del lupo torna molto spesso nelle poesie di Mariella Mehr. La simbologia del lupo, comunemente usata, è il pericolo, una visione funesta. Ma per Lei, cosa significa?

Il lupo è solo, è Solitudine, e tante solitudini fanno il suo branco e così io mi sento.
Sola e accomunata nella solitudine con altre persone sole.
Il lupo aggredisce se è attaccato e cosi faccio io...in Cecoslovacchia ho avuto degli incontri ravvicinati con questo animale e anche qui dove vivo adesso ci sono lupi...per gli uomini non sono un problema...al contrario gli uomini sono un guaio per loro...io ho paura della gente, ma di un lupo o delle bestie mai.

Questo sentire fa parte anche della sua ‘diversità’? Come vive, oggi, la sua identità di Donna Jenisch?

La mia famiglia viene dalla Polonia, dopo la Pro Juventute ho fatto ricerche con uno storico per l’albero genealogico e i miei avi non si sa se siano Ebrei o Rom...sono un essere umano, parlo 6 lingue correntemente, tra le quali il Romanes. Ma mi considero semplicemente un essere umano.
Nel corso del 1800 entrò molta gente in Svizzera: Ebrei, Rom, Polacchi, Lovari, gente che voleva lavorare...questa gente è stata chiamata Jenisch dagli svizzeri, ed è una parola che deriva dal greco e vuole dire ‘doppia faccia’’, come i doppiogiochisti e quindi anche questo è un termine dispregiativo e creato da altri (come il termine ‘zingari’), entrato in uso comune per indicare ‘lo straniero’.

A quei tempi, durante i pogrom contro gli Ebrei, questi hanno cambiato i documenti e comprato quelli dei Rom...viceversa i Rom hanno comprato documenti Ebrei per entrare in Svizzera, cambiando identità per sopravvivere, a seconda delle necessità del momento: questo è un piccolo esempio per far capire che tutte le genti si sono mescolate...e Jenisch quindi sono semplicemente PERSONE che hanno subito delle persecuzioni.
La cosa piu’ grave dei Rom, che tengo molto a dire, è che sono suddivisi in clan e a volte si fanno addirittura la lotta tra di loro...e così facendo non sopravviveranno a lungo...bisogna essere uniti perché siamo tutte persone, e il nostro sangue si mescola continuamente. Questo per non categorizzare troppo, io parlo di PERSONE, di UMANI, che hanno subito queste cose che io denuncio e racconto nei miei libri.


Dopo l’uscita dei Suoi scritti, ha notato un maggiore interesse verso questi argomenti? La gente vuole sapere questa parte di Storia? oppure in Svizzera è come in Italia?

Nei libri di scuola ancora oggi ,sia in Italia che in Svizzera, non è citato alcun Rom perseguitato né omosessuale né malato di mente.  Perchè queste persone ancora oggi sono delle persone di serie B, persone che non si vogliono considerare. E i miei libri purtroppo sono serviti a poco.


Oltre a Lei, altre persone sopravvissute hanno saputo impegnarsi per l’informazione e la politica dei diritti?
Io ho subito a 5 anni elettroshock, a 9 cure di insulina, a 16 anni ancora elettroshock, a 18 carcere perché avevo fatto un bambino con un uomo mezzo Rom e mezzo Ebreo...non ho fatto mai  niente di male per meritarmelo, ti giuro!
E gli altri che hanno subito queste cose sono praticamente tutti kaput, morti...i pochi ancora vivi sono alcolisti, o gente che non é più capace di vivere in questa società.
Bisogna sopravvivere sia fisicamente che mentalmente...per fortuna ho trovato la Letteratura e le parole giuste per iniziare a scrivere, e questo mi ha salvata.
A 15 anni ho scritto la mia prima poesia, ‘’L’’uccello blu’’, (parlava di un uccello che avevo avvistato, una specie che di solito vola sul mare e solo io lo avevo visto)  in quel periodo, come la maggior parte della mia vita, ero in una casa psichiatrica.
Io ero un corpo per gli esperimenti, sai? non solo le menti erano soggette a queste cose ma anche i corpi: io sono praticamente ceca a seguito di 5 interventi sperimentali effettuati da un medico non riconosciuto...la Pro Juventute ha lasciato molte tracce.

Ma in quegli anni (‘26-’74), in Svizzera, la gente comune sapeva? i cittadini erano a conoscenza di ciò che succedeva nelle loro città, nei vari istituti, eccetera?
Naturalmente la gente sapeva.
Ma era stata fatta una enorme propaganda, la gente VUOLE credere nel bene, e la Pro Juventute si vendeva come un’organizzazione che AIUTAVA i giovani...in Svizzera non era così evidente come il fascismo in Italia o il nazismo in Germania...ma la gente voleva credere nel bene e si autoconvinceva.

Come iniziò a leggere, per poi scrivere?
Quando ero piccola, a 12 anni ero in un istituto...in questo istituto le suore avevano una enorme e fornitissima biblioteca ma era per loro, non per noi, e la tenevano chiusa a chiave.
Allora io un giorno ho rubato questa chiave e sono andata in città a farne una copia. E di notte andavo e prendevo una manciata di libri a caso, al buio, e invece di dormire stavo sotto le coperte con la lampada a leggere...Goethe, Sartre....non ho capito niente, ero una bambina, ma tutto era stampato nella mia testa, ho memorizzato nella mia mente e capito anni dopo.
Così ho iniziato a leggere leggere leggere, avevo Fame di Letteratura, ed era più forte della fame normale. Questo mi ha fatto andare avanti, leggere. E poi iniziare a trovare le parole giuste per scrivere, e sopravvivere a tutta quella follìa.

A quei tempi, io non sapevo ancora CHI SONO, questo l’ho scoperto DOPO i trattamenti della Pro Juventute.
Quando questi mi hanno detto ‘vai a lavorare’, a 16 anni, io sono andata…’o vai a lavorare o ti aspetta il carcere’, mi hanno detto e mi hanno mandata in una città che io non conoscevo, a Lucerna, e girando in tutti gli alberghi e negozi, nessuno voleva darmi un lavoro, ero troppo piccola. Poi per caso davanti ad un bar ho incontrato un uomo che mi ha chiesto ‘’Senti, ma che cerchi per strada?’’, ‘’Cerco un lavoro’’ e io avevo una faccia da ragazzo, maschio, (che ogni tanto torna ancora oggi, quando sono arrabbiata), ho potuto lavorare come bar man ma prima il capo mi ha portata dal parrucchiere per fare un taglio da uomo, poi al negozio di vestiti mi ha comprato i pantaloni, il gilet, la camicia bianca da lavoro e il giacchetto nero, naturalmente.
Poi mi ha detto: ‘’Così puoi lavorare nel mio bar e ti chiamerai Mario’.
Ho lavorato lì un anno, poi un giorno è entrato nel bar questo uomo di 30 anni più grande che mi ha chiesto un caffè ed è stato il primo uomo a guardarmi davvero.
Dopo poco mi ha riconosciuta in quanto ragazza e io, presa dal panico, ho iniziato a piangere, avevo paura che mi facesse perdere il lavoro, avevo paura di finire in carcere…
Dopo avere scoperto della Pro Juventute questo uomo mi ha aiutata molto ed è lui il padre del mio bambino.…(è poi morto in un campo di concentramento tedesco, era mezzo Rom e mezzo Ebreo)...lui mi ha aiutata molto…mi ha trovato un altro lavoro, presso una famiglia, e insieme abbiamo deciso di fare un bambino.
Per la Pro Juventute se sei incinta sei un’adulta e libera di sposarti e fare una vita e avere diritto ai servizi degli ospedali per la gestazione e il parto, ma le autorità mi hanno segnalata e fatto una ricerca attraverso l’interpol (pensa te!) trattandomi come una fuggitiva…

Un giorno alle 5 del mattino mi hanno arrestata presso la famiglia dove lavoravo, mi hanno presa a Berna e messa in una cella con un cane lupo di guardia…il cane era piu’ amabile delle persone, è venuto da me senza paura e aggressività e nel tempo del carcere è stato quel mezzo lupo a salvarmi la vita.
Io ero in carcere ma non sapevo perché…in tutta la mia infanzia io non ho mai saputo chi ero né il motivo per cui mi venivano fatte queste cose…al carcere le peggio criminali mi chiedevano perché ero lì ma io non lo sapevo..allora la mia testa ha prodotto una fantasia di un qualche crimine che avessi potuto commettere, per non impazzire..e senza passare per nessun giudice io finivo in galera.
Il padre del bambino mi cercava,  ma i carcerieri non mi hanno dato nessuna sua notizia e impedivano a lui di avvicinarsi, inventando bugie.
Infine ho dato alla luce questo figlio in carcere.
Secondo la legge, avevo 3 anni di galera da scontare, ma un giorno mi hanno detto ‘’se dai tuo figlio in adozione sei libera subito, altrimenti il figlio te lo prendiamo lo stesso ma tu resti qui fino a concludere i 3 anni di carcere’’.
Io ero disperata, amavo mio figlio ma non sopportavo più questo carcere, che era il peggiore carcere femminile della Svizzera. Così ho firmato e sono uscita.
A Berna ho trovato un altro lavoro, ho pensato che se lavoravo la Pro Juventute mi avrebbe restituito il figliolo, invece…così non è stato e la vita di questo figlio è rovinata quanto la mia.

Mia madre è stata una delle prime donne alla quale la Pro Juventute ha strappato i figli e a sua volta mio figlio è stato uno degli ultimi strappati alla madre…tutta questa storia è un ORRORE e una VERGOGNA alla quale non si vuole credere, quando io racconto queste cose la gente non crede, pensano che io sia una folle che nel suo delirio si inventa le cose.
Eppure dopo diverse lotte gli archivi con i documenti della Pro Juentute sono stati aperti, sono documenti visibili a tutti. Ma queste cose non si vogliono sapere.

Io mi sono battuta per i diritti miei e di tutta questa gente, i diritti, non i soldi, e l’aiuto per sopravvivere a tutto questo, ma gli Jenisch della Svizzera invece volevano il silenzio su questa vergogna, volevano solo soldi, per questo sono stata più volte aggredita, una delle quali sono stata gettata da un treno in corsa...
I giornalisti volveano la Verità, qualche attivista di sinistra, qualche gente di buon cuore, ma gli Jenisch no, pochissimi volevano che la Verità venisse fuori e di conseguenza i diritti per queste donne e uomini devastati da questi trattamenti.
Per 20 anni ho fatto politica, attivismo, ma è servito a poco se non a niente...ora la gente non sa nulla di questi orrori, anche se le conseguenze ci sono tutt’ora. Abbiamo ricevuto una cifra irrisoria come risarcimento morale, due soldi in croce per una vita COMPLETAMENTE rovinata...per 24 anni vissuti nell’orrore.
E’ stata tutta una farsa enorme.




Poi abbiamo interrotto l’intervista e parlato d’altro, perché ‘’altri cinque minuti a parlare della Pro Juventute e cado a terra svenuta, mi fa troppo Male’’.





Mariella Mehr ha partecipato a vari festival di letteratura in Europa, vincendo diversi premi e riconoscimenti, i suoi libri sono pubblicati in diverse lingue e reperibili tramite ordine in qualsiasi libreria.

BIBLIOGRAFIA DI MARIELLA MEHR (in Italiano):

- ‘’Steinzeit’’
- ‘’La Bambina’’
- ‘’Il Marchio’’
- ’’Notizie dall’Esilo’’
- ’’Accusata’’
- ’’San Colombano e l’attesa’’








.Serena Raggi.

venerdì 21 dicembre 2012

Piccola recensione per IL RICORDO CHE NON AVEVO di Alberto Maria Melis

Ieri in libreria mi sono intrufolata nel reparto ‘ragazzi’ e ho comprato questo libro.
Oggi, a distanza di poche ore, è per me impossibile trattenere l’entusiasmo per ciò che ho letto.




Alberto Melis scrive con tale poesia e suggestione che diventa impossibile staccare gli occhi dalle pagine. Il romanzo parla di ‘’una storia dimenticata dalla Storia’’, è il PORRAJMOS spiegato ai bambini. E i bambini, di fronte a questo argomento, siamo tutti noi, al di là delle età anagrafiche. Quello che nelle scuole si insegna, quello che si dice su questo argomento è poco (se non addirittura NULLO nella maggior parte dei programmi scolastici) e nel libro veniamo presi per mano e guidati verso la riscoperta della Nostra Storia, -la Storia di tutti noi-, scoprendo mano a mano atrocità che raramente ci vengono insegnate.

Il Porrajmos, che nella nostra lingua significa ‘’grande divoramento’’ è l’equivalente della Shoah per il popolo Ebreo: è lo sterminio, durante la Seconda Guerra (più precisamente tra il 1934 e il 1945), di circa 500mila uomini e donne e bambini appartenenti al popolo Rom.
A tutt’oggi in Italia le popolaioni Rom e Sinte non hanno ancora ricevuto alcun riconoscimento ufficiale delle persecuzioni subite.

(...) Ma non c’erano solo ebrei a Litmannstadt.
Angela continuava a fissarmi, senza capire dove volessi andare a parare.
Consultai ancora gli appunti
-Nell’autunno del 1941 a Litmannstadt arrivarono cinquemila rom. Erano stati fatti prigionieri dai nazisti e deportati a bordo di lunghissimi treni.
-Ma maestra Carola non ci ha mai detto che anche i rom vennero perseguitati dai nazisti- sussurrò Angela.
-Già- ammisi. - Eppure su Wikipedia c’è scritto che anche gli zingari venivano considerati da Adolf Hitler una ‘’razza inferiore’’, e perciò da eliminare. E che pochissimi, fra i rom deportati a Litzmannstadt, sopravvissero. A metà gennaio del 1942, la maggior parte di loro era già stata uccisa. (...)

Il libro si avvale, in copertina, dell’apprezzamento di Moni Ovadia, che lo definisce ‘’un libro coraggioso, dove l’amicizia e il desiderio di conoscenza dissipano l’indifferenza e il pregiudizio nei confronti dei Rom’’.
Io l’ho trovato toccante, delizioso da leggere e uno spunto continuo di riflessione.
E per questo Natale non mi sento di consigliarvi altro regalo se non questo libro, per cui fiondatevi nel reparto ‘bambini/ragazzi’ e regalatevi (e regalate) una buona lettura.
Prezzo onestissimo, otto euri e cinquanta. Edito da Oscar Mondadori Junior.
….e buone feste, all’insegna della conoscenza!

domenica 2 dicembre 2012

I ROM E I SINTI IN ITALIA

Quanto segue fa parte della relazione finale al progetto finanziato dall'UE 'Transition Project - percorsi di cambiamento abitativo di Rom e Sinti' svolto contemporaneamente da tre paesi: Italia, Romania e Grecia, nel corso del 2011. 
Avendo partecipato attivamente come volontaria al progetto, con la cooperativa bolognese La Rupe, mi è stata affidata anche l'introduzione storica del progetto. Buona lettura! 


Per comprendere la dimensione e l'ampiezza geografica del popolo Rom è sufficiente sapere che in tutte le lingue europee vi sono uno o più termini che corrispondono all'italiano 'zingaro': cìgani; gitanos; gypsies; tsiganes; ecc., dall'Italia alla Romania, alla Spagna, Francia e Paesi Anglofoni. 




Il popolo Rom, composto da comunità molto diverse tra loro da paese a paese, è stimato in numero di otto-dieci milioni di abitanti in Europa; tenendo conto del fatto che dichiararsi Rom nella maggior parte dei paesi non è facile, il numero della stima è approssimativo e difficile da stabilire.

I paesi europei in cui questa popolazione è più consistente si trovano nella parte Est, Slava: in Romania circa l'8% della popolazione del paese è Rom (1 milione e 800 mila persone); in Bulgaria la percentuale è pressoché uguale, si passa poi al 5% dell'Ungheria e al 4% di Serbia, Montenegro e Kosovo. 
E' subito visibile una concentrazione di questi popoli nei paesi più poveri d'Europa: la zona dei Balcani.
Una presenza cospicua si trova poi tra Irlanda, Francia e Spagna (in particolare la regione Andalusa), mentre soltanto lo 0,10% si trova tra la Germania e l'Italia.
Forse è proprio a causa di questa percentuale, così inferiore rispetto ad altri paesi, che l'Italia convive con il cosiddetto 'problema degli zingari', che vengono percepiti come sparuti gruppi di popoli estranei, da gestire come popolo differente, numericamente esiguo ma pericoloso, da tenere lontano rispetto alla restante numerosissima massa 'gagè' (non Rom) della popolazione.

In Italia è molto forte l'immagine errata del Rom inteso come persona nomade e per questo considerato un individuo di passaggio. 
Il campo nomadi (o AREA SOSTA) è percepito come una sistemazione temporanea e l'ignoranza che si vuole conservare sull'argomento permette di sapere solo a poche persone che più dell''80% della popolazione Rom europea è sedentaria da diversi secoli.

In particolare, in Italia si parla di ROM E SINTI.
Questi ultimi sono i cosiddetti 'zingari italiani', provenienti dalle regioni tedescofone, dalla Prussia all'Austria, hanno poi conosciuto periodi di flussi migratori verso Italia e Francia. L'Italia del Nord conta la maggiore presenza di Sinti in Europa, e in queste zone hanno origine i cosiddetti 'sinti piemontesi' e 'sinti lombardi'.
La lingua da loro parlata è detta Sinto ed è un incrocio di lombardo, emiliano e veneto (un vero e proprio ''nuovo dialetto italiano'') e Romanes. 


L'origine del popolo Rom è controversa.
Sono state individuate varie analogie tra il Romanes (la lingua, appunto, dei Rom), e il Sanscrito del X secolo: alcuni dunque, individuano l'India come loro patria, forse una casta di Intoccabili che ha migrato verso l'Europa; per altri si tratta di una popolazione con ceppo indoeuropeo stanziato tra il I e II millennio A.C. nell'Asia centrale e sugli altopiani Afghani. Da qui forse poi uno spostamento verso l'India del Nord fino al momento (circa l'anno 1000) dell'invasione araba, il periodo in cui inizia il loro esodo, e la loro fama di popolo nomade.

In Italia la presenza di Rom è costituita da Sinti, che esercitavano il mestiere di giostrai e allevatori di cavalli, provenienti dal centro Europa e giunti in Italia intorno al 1400; i Rom Harvati (Croati), giunti nella penisola dopo la Seconda Guerra Mondiale; i Rom Khorakhané, letteralmente i ''portatori del Corano'', provenienti da Albania, Macedonia e Kosovo, arrivati in Italia negli anni 60, in seguito alla crisi economica e poi negli anni 90, a causa della guerra che sconvolse l'ex Yugoslavia;
i Rom Abruzzesi che occupano quella regione dalla fine del 1300; i Rom Lovara, principalmente provenienti dall'Ungheria e i Rom Romeni, di cui ultimamente si registra una presenza forte.
I Rom sono dunque anche in Italia una realtà molto eterogenea, e solitamente l'errore sta nel fare di questa diversità di popoli un unico immenso gruppo, i 'nomadi'.
L'operazione compiuta non considera quindi le diversità tra i gruppi considerati ma li assimila in un'unica categoria.

Dalla metà degli anni 80, i Comuni e le Regioni aprono e riconoscono delle aree di sosta per roulotte (le cosiddette kampine) : è il momento dell'INVENZIONE AMMINISTRATIVA DEL 'CAMPO NOMADI'.
Dunque, tutti questi differenti gruppi, con differenti culture, diversa lingua, stile di vita, competenza professionale, religione, eccetera, si trovano a dover vivere tutti insieme nello stesso posto, tutti i gruppi vengono nominati con una sola parola e trattati tutti allo stesso modo.

Questa categoria di 'nomadi' è nata facendo riferimento ad un presunto comportamento, il nomadismo: è una visione puramente figurativa del gagè (non Rom), che inventa una popolazione unica per un unico stile abitativo.
Si hanno così degli effetti di auto segregazione, come per i Rom del Sud Italia, praticamente invisibili, e una sedentarizzazione forzata per i gruppi Rom e Sinti del Centro-Nord. 
Negli anni, le successive migrazioni di Rom creano nuove tensioni. 
In particolare l'ondata migratoria proveniente dalla Romania, iniziata a sprazzi dal 2000, facilitata poi dall'entrata del paese nell'Unione Europea, ha visto lo spostamento di persone che scappavano da una realtà durissima e da vere e proprie persecuzioni xenofobe.

La presenza dei Rom Romeni in Italia supera oramai quella di tutti gli altri gruppi e rompe così una sorta di equilibrio di gioco delle parti tra istituzioni e popolazione Rom: si è passati da timide politiche di regolarizzazione della presenza Rom sul territorio italiano e di intervento solo nel caso in cui la protesta dei cittadini diventava evidente ad una nuova politica di sgomberi, allontanamenti, occupazioni abusive. Il clima è molto teso e in molte regioni la politica vincente sembra sia quella repressiva.

Il risultato sono campagne elettorali vergognose, 


e il delinquente che fa sempre più notizia rispetto all'onesto.

I Rom sono diventati così maestri nel campo dell'arrangiarsi: lavoretti precari per gli uomini come la raccolta del ferro, le borse lavoro, eccetera e la questua per le donne e i bambini.
Purtroppo aumentano i soggetti dediti a occupazioni al limite del legale o addirittura illegali come la prostituzione, lo spaccio di droghe all'interno e fuori dai campi, eccetera.

Non giova sicuramente anche il fatto che i lavori tradizionali che caratterizzavano queste popolazioni sono ormai estinti: l'allevamento di cavalli, gli spettacoli circensi, le giostre per i bambini, la lavorazione dei metalli in modo artigianale.
In questo modo è venuta a crearsi una stratificazione sociale anche tra i Rom e il campo nomadi è diventato un vero e proprio ghetto, a fronte del nostro rifiuto di confronto e della nostra politica di non accoglienza.

Ma quali sono realmente le differenze tra 'noi' e 'loro'? Una delle risposte possibili sta nella differente concezione del tempo e dello spazio. Per esempio, il passato per un Rom non ha particolare importanza, è solo sentito come una tradizione da rinnovare; il presente è tempo reale e significante da sfruttare al momento. Il futuro invece, e forse è proprio questa la differenza maggiore, non ha importanza in termini di progettualità, poiché è un destino già segnato dalla nascita. Se non vi è progettualità allora si vive alla giornata, e questo modo di essere è decisamente incompatibile con il pensiero occidentale che vira tutto verso il futuro e lo progetta continuamente.

La legislatura:

Per quanto riguarda la legislatura e l'inquadramento giuridico, la situazione in Italia è abbastanza complessa e tale complessità è dovuta, come già spiegato, dalla vasta gamma di persone che compongono la comunità Rom che vive nel nostro paese: vi sono molti Rom e Sinti che sono cittadini italiani, ci sono poi cittadini dell'Unione Europea - specialmente l'ultima ondata proveniente dalla Romania -, vi sono gli extracomunitari, gli apolidi (con doppia cittadinanza) e persino qualche rifugiato.

Ne consegue che il trattamento giuridico di queste persone non può essere lo stesso per tutti i casi.
Probabilmente è stata la mancanza di un'adeguata riflessione culturale e giuridica, in particolare tra gli studiosi dei diritti delle minoranze, che ha portato a politiche pubbliche carenti nei confronti di tale popolazione: spesso queste politiche sono anche discriminatorie.
Un esempio: nella prassi amministrativa è diffuso il termine "nomadi", questo rischia di far considerare come nomadi persone che sono stabilmente residenti su un territorio, magari dalla nascita. 
Questo termine ricorre in numerosi provvedimenti ed etichetta in modo errato un'intera categoria di persone, anche sotto il profilo giuridico.

Il nomadismo sembra discendere, piuttosto che da una tradizione culturale o da una scelta di vita, dalle condizioni di esclusione e di abbandono sofferte da molti Rom, e dai loro nuclei familiari, soprattutto quelli giunti di recente dai paesi orientali che adesso fanno parte dell'Unione Europea, come la Bulgaria e la Romania; sta di fatto che attualmente i Rom non più nomadi, quindi sedentari, ammontano all'80% della comunità, che non può più quindi definirsi nomade. I motivi sono svariati, prendiamo in esempio il caso dei Sinti, per lo più esercitanti il mestiere di giostrai, i quali in materia di libertà di circolazione non hanno praticamente più alcun diritto, e i cui circhi montati nelle piazze o nei parcheggi vengono immediatamente segnalati come abusivi e fatti smontare.

Più complessa ancora è la situazione dei Rom stranieri in quanto la loro condizione giuridica, senza il requisito della cittadinanza, appare indefinita, lasciando ampio spazio alla discrezionalità amministrativa, con il rischio di infrangere i diritti base della persona. 
Per Rom "stranieri" intendiamo persone appartenenti all'etnia Rom prive della cittadinanza italiana, provenienti da altri stati dell'Unione Europea, bulgari e rumeni, o non appartenenti ad alcun paese comunitario, come serbi, montenegrini e bosniaci. I Sinti sono invece giuridicamente persone Rom che godono da tempo (secoli) della cittadinanza italiana.

La funzione del Diritto è quella di organizzare al meglio l'esistenza di persone diverse in uno stesso territorio, per cui tale organizzazione varia da Stato a Stato.
In un paese come l'Italia, la forma di Stato è autoritaria e l'organizzazione giuridica dei rapporti tra le persone fa cedere tale diversità di fronte all'unità Nazionale.
Contrariamente, in una forma di Stato di tipo democratico e sociale, il diritto mette al centro la persona e le sue peculiarità.
Giuridicamente, chi sono Rom e Sinti? Sono persone che hanno diritti e doveri come ogni altra persona e che appartengono ad una minoranza etnico-linguistica il cui processo di riconoscimento è partito solo quest'anno (2012).

Da poco è stato festeggiato il 150esimo anno dell'Unità d'Italia: vanno ricordati assieme al popolo italiano migliaia di Rom e Sinti che oramai ne fanno parte.
I loro antenati vennero discriminati dal regime fascista proprio come i nostri e la più terribile delle persecuzioni venne fatta anche verso di loro. Tutti conosciamo la parola Shoah, che descrive lo sterminio del popolo ebraico, mentre non tutti sanno del Porrajmos, letteralmente ''divoramento'', ovvero lo sterminio del popolo Rom durante lo stesso periodo storico e sulla base delle medesime leggi razziali.

E' vergognoso che persino ''La Giornata della Memoria'' , istituita ogni anno il 27 gennaio per ricordare le persecuzioni e gli stermini del periodo della Seconda Guerra Mondiale, non menzioni minimamente il Porrajmos. L'olocausto Rom tra il '40 e il '45 fece oltre 500'000 vittime. Furono perseguitati, imprigionati, seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici, introdotti nelle camere a gas dei campi di sterminio, perché secondo l´ideologia nazista ''razza inferiore" e indegna di esistere. 
Gli ''zingari' erano geneticamente ladri, truffatori, nomadi: la causa della loro pericolosità era nel loro sangue, che precede sempre i comportamenti.

Le vittime di tale massacro sono state ricordate in Camera Dei Deputati soltanto nel dicembre 2009.
Tornando alla situazione giuridica, si sa che storicamente, nei paesi ricchi come in quelli più poveri, la crisi economica ed il senso di frustrazione tra i ceti deboli, soprattutto nelle grandi periferie urbane, hanno fatto scattare la logica del "capro espiatorio" e, malgrado i diversi appelli delle istituzioni comunitarie per considerare i Rom come una minoranza, si sono moltiplicati gli episodi di esclusione violenta nei loro confronti. 

In particolare in Italia è larga la tendenza alle espulsioni forzate e agli sgomberi, spesso effettuati con l'uso di violenza, proprio quegli sgomberi che recentemente il Parlamento Europeo ha condannato, invitando gli Stati a praticare politiche di inclusione, di integrazione e di coesione.

Nel 2010 da parte della Commissione Europea, si annunciava l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti della Francia per le operazioni di sgombero e di rimpatrio messe in atto dal paese. 
Da questo punto di vista, è bene ricordare, la condizione dei Rom in Francia è profondamente diversa da quella dei Rom italiani perché in Francia si sono comunque realizzate importanti attività di integrazione e la maggior parte dei Rom francesi sono cittadini di quel paese, mentre la legge italiana sulla cittadinanza, la più arretrata in Europa, ha contribuito alla diffusione di una pericolosa condizione di apolidia che è oltretutto solo "di fatto".

Il problema maggiore è infatti la mancanza di documenti, che fa delle persone Rom di fatto dei prigionieri in un carcere all'aperto, in quanto privi del diritto alla circolazione. 
Questa mancanza non da loro il diritto di accedere a strutture sanitarie, al mondo del lavoro, e non da loro diritti che per noi sono scontati.

Rom e Sinti costituiscono una minoranza etnico-linguistica, ma non sono trattati come tale.

Hanno una determinata lingua, il Romanes, anche se con varie sfumature, una lunga storia comune, una cultura, arte e musica. Si tratta di una minoranza volontaria, i cui membri aspirano cioè a mantenere tali peculiarità e aspirano quindi a determinate garanzie giuridiche che assicurino loro il rispetto di tali caratteristiche da parte della maggioranza. 
La protezione delle diversità arricchisce il principio di uguaglianza. 
Anche se la parità e la tutela della persona viene davanti a tutto, considerando tale persona con un principio di parità assoluta rispetto alla maggioranza.
Per quanto riguarda l'istruzione, la scolarizzazione delle persone Rom è ancora piuttosto bassa e la maggior parte degli adulti non è in grado di leggere né scrivere.
Si sta notando però una lenta ma graduale voglia nei giovani di portare avanti gli studi almeno fino alla conclusione delle medie.

Spesso ci si trova di fronte alla solitudine della scuola nell'affrontare a mani nude tutti i nodi e i problemi che il difficile processo dell’integrazione comporta.
Ci si misura con una scuola dalle poche risorse, sia umane che economiche; con la miopia delle istituzioni nell’incapacità/diffidenza di avviare reali politiche per migliorare la prospettiva del futuro rispetto all’integrazione.

La frequenza scolastica per un ragazzino Rom è determinata da vari fattori. 
Il razzismo è un vergognoso ostacolo col quale spesso devono confrontarsi e nella scuola purtroppo la situazione è simile all'esterno. Vi è anche il fattore della famiglia, per cui il ragazzo a volte è utile in casa e la scuola in quel caso è vissuta come una perdita di tempo utile. Altro fattore importante è l'interazione culturale tra insegnante e ragazzo, in cui la fiducia dovrebbe essere la base del dialogo, purtroppo spesso l'insegnante rimane pur sempre un gagè, un'istituzione dalla quale guardarsi e a cui non dare troppe confidenze.

Viviamo in un paese multiculturale ed è necessario formare insegnanti in grado di sapersi confrontare con le diverse culture che si trovano davanti, e l'insegnamento deve avvenire attraverso una relazione educativa fondata sul riconoscimento dell’altro e sulla mediazione culturale di contenuti e metodologie, in modo che attraverso la scuola questi bambini possano divenire davvero cittadini attivi di questo Stato.

Grande successo ha avuto il progetto di Vania Mancini, le Chejà Celen, in Romanes letteralmente ''ragazze che ballano'', svolto insieme all'Arci Solidarietà Lazio in collaborazione con il Dipartimento alle Poltiche Educative del Comune di Roma. Tale progetto è iniziato nel 2008 ed è stato pensato per la scolarizzazione dei minori Rom, aumentando il numero dei bambini accompagnati a scuola, la loro frequenza e la qualità di apprendimento. 
Per indurre le ragazze a frequentare la scuola Vania Mancini ha utilizzato la loro musica ed il loro ballo. 
Partendo dal campo Rom di Cesare Lombroso a Monte Mario fino alle scuole, fino ad un progetto di ballo che ha fatto vivere la loro diversità non più come un handicap, una vergogna, ma come una risorsa, disponendo di una competenza peculiare da insegnare anche alle ragazze italiane, che durante il progetto hanno partecipato in massa durante gli stage nelle scuole. 
In un rapporto di parità finalmente anche le ragazze Rom hanno potuto insegnare qualcosa agli altri, i movimenti dei loro balli, essendo anch'esse detentrici di una grande tradizione e cultura. 
Nel progetto sono state coinvolte anche le madri Rom del campo, che per le occasioni degli spettacoli (che sono stati tanti), hanno confezionato per le figlie i costumi di scena. 
Le ragazze hanno così aumentato la loro presenza a scuola e hanno potuto fondere i loro saperi con le altre ragazze dell'istituto, realizzando contemporaneamente un progetto artistico che le ha portate in giro per tutta Italia.




Purtroppo si tratta di un caso particolare, poiché in altri ambienti, come ad esempio a Torre Del Greco, in provincia di Napoli, la situazione può essere ben diversa. 
Nel 2010 la scuola Giovanni Falcone ha aperto le porte ai bambini Rom e i genitori degli altri alunni hanno protestano, addirittura manifestando nel cortile della scuola e facendo una raccolta di firme per chiedere all'Asl di appurare se i minori fossero in regola con le vigenti normative sanitarie in merito alle vaccinazioni obbligatorie. Motivo della discordia la decisione della dirigente scolastica di consentire a sei bambini ospiti del campo Rom che sorge in prossimità dell'autostrada di frequentare le lezioni.

In un'altra scuola elementare della provincia di Rovigo, sempre nel 2010, si iscrissero solo 19 bambini. Tutti Rom. Gli altri, gli italiani, piano piano si spostarono tutti altrove. I genitori italiani sostennero che i Rom rallentavano l’apprendimento dei loro figli. Questo destò l'indignazione dell'Opera Nomadi che si ribellò proponendo di chiudere la scuola divenuta un ghetto.

Gli insegnanti devono essere formati in modo da avere gli strumenti per affrontare qualsiasi situazione di diversità culturale. Ciò non significa che la scuola debba adottare le modalità pedagogiche Rom e assumersi il compito di formarli. La scuola è uno strumento di acculturazione, che non può fare altro che avvicinare le minoranze alla cultura maggioritaria. L'importante è che non sia strumento di deculturazione.

L'obiettivo è quello di giungere ad un'educazione scolastica che si coniughi con l'educazione familiare in modo da completarla e non contraddirla.
Le cose che si possono fare in questo senso sono, ad esempio, organizzare dei percorsi di conoscenza della cultura attraverso i quali i docenti possano meglio comprendere i loro allievi, i loro comportamenti, le loro aspettative, le loro modalità di interagire con le persone,eccetera.
E' importante anche instaurare un rapporto con le famiglie che comunichi ai bambini una continuità fra il mondo di casa e il mondo della scuola, senza contraddizioni.
Si può poi ricorrere alle modalità di cooperazione tipiche della comunità Rom, facendo ricorso all'aiuto di eventuali fratelli o cugini più grandi presenti nella scuola per instaurare un rapporto di maggiore fiducia verso l'insegnante.


La salute:

Il contesto in cui vivono le persone Rom deve essere preso in grande considerazione nel valutare le cause di malattia.
I Rom che abitano nei campi non vivono in luoghi 'naturali', ma in luoghi imposti, artefatti, situati in zone altamente periferiche con poca possibilità di gestione dello spazio. 
Le localizzazioni assegnate ai campi nomadi sono comuni ovunque (una sorta di urbanistica del disprezzo), da incerte infrastrutture, a paesaggi confine tra città e campagna, a parcheggi vicini a snodi autostradali. 

Le condizioni di salute degli individui di certo dipendono anche da queste imposizioni del luogo in cui vivere. 
Ci sono ampi fattori di rischio a cui questa popolazione è costantemente sottoposta. 
Vi è inoltre una carenza drammatica di dati sulla condizione di salute di Rom e Sinti che vivono nei campi in Italia. D'altronde la relazione fra popolazioni Rom e mondo non Rom è sempre stata caratterizzata da una scarsa conoscenza, dalla quale poi nascono pregiudizi e diffidenze, nel campo della sanità come in qualsiasi altro campo. 

La scarsa conoscenza rispetto alla condizione di salute di Rom e Sinti è frutto di pregiudizi e diffidenze e contribuisce ad alimentarli. I bisogni di salute, i problemi specifici e i rapporti con i servizi sono estremamente vari nei diversi gruppi Rom e Sinti, stranieri e italiani. 

Sarebbero necessarie analisi appropriate che distinguano tra diversi bisogni e problemi per avviare politiche partecipate d’intervento su questo argomento, ma tali informazioni ed analisi non sono disponibili, poiché rappresenterebbero un legame tra condizioni socio-economiche e abitative, marginalità e condizioni di salute.

Vi è invece un’attenzione verso problemi che non costituiscono i reali problemi di salute di Rom e Sinti, per esempio la ''sporcizia'', anche questo un vero e proprio pregiudizio, una mancanza di studi che leghino le patologie più frequenti alle condizioni di vita nei campi, una carenza sui bisogni e le priorità e una mancanza totale di partecipazione di questa popolazione alle ricerche in questo senso.

Un dato certo è che Rom e Sinti in Italia hanno una speranza di vita di 9 anni inferiore alla media nazionale a causa dell’emarginazione a cui sono costretti.
Alcune malattie sono dovute all'alta mobilità di certe famiglie. Questa mobilità, come spiegato prima, difficilmente è dovuta alla pratica del nomadismo, in quanto per lo più estinta. Piuttosto è probabile lo spostamento continuo di famiglie che cercano abitazioni marginali e vanno quindi identificate le responsabilità delle istituzionali nel causare questa alta mobilità alle famiglie ma anche nell'ostacolare l’accesso ai servizi sanitari o nell'offrire servizi inadeguati alle necessità delle persone.




Conclusione:

E' necessario ed urgente creare percorsi di introduzione al lavoro, mediante l'aiuto di mediatori culturali, magari Rom,
ed è ancora più necessario investire sull'istruzione e l'integrazione dei bambini, ad esempio con borse di studio, tutor e facendo capire alle famiglie che l'istruzione è essenziale per sopravvivere, sia perché l'istruzione da diritto alla cittadinanza, sia perché attraverso questa il popolo Rom può essere in grado di salvare la propria cultura e tradizione, essendo contemporaneamente in grado di contaminarla con la nostra.

L'Italia sta diventando un paese multietnico, questo è un dato evidente, eppure il popolo Rom resta per noi un eterno 'straniero' da cui guardarsi.

Dobbiamo essere in grado di riconoscere questo popolo, con tutte le sue caratteristiche, al pari di un altro qualsiasi popolo mondiale, rompendo la pratica del razzismo ma anche dell'assistenzialismo (pratica che allo stesso modo non riconosce l'altro come uguale), le iniziative che possiamo intraprendere sono:

- Il riconoscimento di questo popolo attraverso il riconoscimento della lingua Romanes;
- Il riconoscimento del diritto al nomadismo (nel caso di alcuni piccoli gruppi ancora nomadi PER NECESSITA' O SOPRAVVIVENZA);
- Un censimento dei Rom in Italia con successiva regolarizzazione dei loro documenti;
- Riconoscimento della cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia che così potranno accedere senza problemi al mondo del lavoro;
- La richiesta da parte del Governo Italiano del Fondo Sociale Europeo per avviare serie politiche di inclusione abitativa, lavorativa e scolastica delle persone Rom.



Serena Raggi